
Jessica Raimondi
Jessica Raimondi nasce a Porretta Terme nel 1991. Laureata in Giurisprudenza, lavora come referente legale presso un’Associazione che accoglie donne migranti e vittime di violenza. Parallelamente a questo percorso professionale ha sviluppato l’interesse per la fotografia. Tra il 2015 ed il 2016 ha frequentato il corso annuale di fotografia presso Spazio Labò che le ha permesso di approfondire le conoscenze e di acquisire una visione diversa del mezzo d’espressione fotografico.
Successivamente ha frequentato alcuni workshops volti ad un approfondimento sul libro fotografico e sul self publishing. Attualmente sta frequentando il Master di fotografia documentaria tenuto da Davide Monteleone presso Spazio Labò. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro pt. ===== che è stato esposto in occasione di Festspillene Arctic Arts Festival (Norvegia), di Funzilla: Rome Photozine Festival (Roma), di WOPART – Real: rassegna di editoria d’arte, di The Art Chapter (Svizzera), di Milano Art Book Fair (Milano), di Fruit Exhibition (Bologna) e di Sguardo Italiano.3 (San Gimignano). Il libro è inoltre parte della collezione permanente della Fondazione Artphilein, di Atelier NOUA, della piattaforma Italian Collection promossa dal Premio Voglino e della collezione Donata Pizzi.
La sua ricerca fotografica si focalizza su tematiche quali l’identità, la perdita e la memoria, trattandole da un punto di vista metaforico e simbolico. Lavora principalmente su una progettualità a lungo termine e con un’attenzione particolare nei confronti dell’editoria fotografica. Attualmente sta sviluppando un progetto fotografico di ricerca che vuole mettere in luce una riflessione sui concetti di memoria individuale e collettiva e sul rapporto esistente tra esse.
Fotografia proposta
Titolo: Pt. =====
Descrizione: Fotografia digitale a colori, 40x50cm
Il progetto nasce da un’esperienza personale dell’artista. Il titolo riprende la voce “paternità” del suo certificato di nascita, lasciata incompleta nel momento in cui il padre ha deciso di non riconoscerla. Le immagini che compongono la serie mettono in scena il peso che il suo rifiuto ha avuto nella costruzione della sua identità. Un’assenza che si manifesta costantemente, ma il più delle volte in maniera quasi impalpabile: bisogna cercare la crepa, lo strappo, le ferite nascoste sotto la superficie degli oggetti ritratti. Si tratta di un racconto statico, che ritorna incessantemente sui suoi passi senza riuscire mai a progredire in una vera narrazione. Un’impasse fatta di elementi banali e di persone la cui riconoscibilità viene sempre impedita. Ci sono ma con la loro presenza non fanno che sottolineare ciò che invece manca. (testo a cura di M. Poggi)